Via Stretta e il ghetto di Urbino: storie di ebrei, emarginazione e aiuto.

Quest’anno in occasione della Giornata della Memoria ho deciso di fare una ricerca sugli ebrei ad Urbino per ricostruire le fasi non sempre facili della loro vita nella città ducale. Ne risulta una storia fatta di emarginazione ma anche di aiuto nei confronti degli ebrei da parte degli urbinati, durante gli anni delle persecuzioni naziste.

Via Stretta e il ghetto

Dal libro di Maria Luisa Moscati Benigni “Sinagoghe di Urbino & Storia del ghetto”

Sinagoga e Torricini

All’inizio di Via Stretta, all’ombra degli spettacolari torricini, sorge la Sinagoga di Urbino. Nulla dall’esterno dell’edificio fa capire che ci troviamo davanti ad un oratorio ebraico, se non fosse per la fascia di mattoni rotti ad arte su più punti, come vuole la tradizione, per ricordare la distruzione del Sacro Tempio di Gerusalemme.

Via Stretta
Facciata Sinagoga
Vista dal Ghetto

Fu nel 1633, con l’istituzione del ghetto, che gli ebrei di Urbino furono costretti a lasciare le loro case sparse per la città e così pure la sinagoga, per ritirarsi nel quartiere imposto.
Il 13 dicembre 1633 si assistette al trasferimento definitivo degli ebrei nel “recinto” del ghetto.

Campagne diffamatorie antiebraiche ce ne erano sempre state, ma si acuirono nel ducato dei Montefeltro. Si pensava che gli ebrei, fornendo denaro in cambio di interessi, fossero la rovina di tante persone. Fu così che si costruirono un po’ ovunque i Monti di Pietà. In Urbino il primo nacque nel 1468 a firma della Duchessa Battista Sforza.

Perché gli ebrei prestavano denaro?

Vennero esclusi da ogni attività e costretti al solo commercio del denaro, figura odiosa poiché nulla tocca l’uomo come l’interesse. Che quella del prestito non fosse la loro attività preferita è testimoniato dal fatto che, appena liberi di scegliere, soprattutto dopo il 1860, chi poteva permetterselo decideva di studiare all’Università; fiorirono letterati, scrittori e poeti.

Il ghetto di Urbino

Nel 1631, subito dopo la morte di Francesco Maria II Della Rovere, Urbano VIII annette il Ducato allo Stato della Chiesa. Urbino capitale si avviò rapidamente al decadimento e all’impoverimento; almeno in questo cristiani ed ebrei furono davvero fratelli.

Per ghetto si intende un quartiere nella città, chiuso da portoni che venivano serrati la sera, all’avemaria, e riaperti la mattina. In Urbino i portoni erano tre e ad aprirli e chiuderli pensava “Gio Antonio, portinaro di Valbona”.

Ad Urbino il 1° agosto 1633 il Vice Legato Mattei ordinò che si stabilisse il ghetto e che il Consiglio definisse con voti segreti il luogo più adatto. Nonostante fosse stato votato il Vicolo, dove già si trovavano Sinagoga e molte case di ebrei, il Notaio Francesco Scudacchi comunicò che il luogo prescelto era dietro Valbona, ignorando la delibera. Si ipotizza che la famiglia Giunchi, proprietaria di numerose case in Valbona e Via Stretta, avesse corrotto qualcuno di importante. Gli ebrei dovettero in pochi giorni scegliere le case, raccogliere il denaro per erigere, a loro spese, i muri per serrare alcuni vicoli, e fare gli archi per i tre portoni previsti.

Le spese per gli ebrei divennero sempre maggiori, fino a vedersi attribuire il pagamento di una tassa per il sostentamento degli ebrei convertiti, più o meno spontaneamente, a Roma. Fu Papa Pio IV, nel 1562, a stabilire che i canoni di affitto imposti dai cristiani per l’affitto delle loro case agli ebrei, restassero inalterati, senza possibilità di aumento. Con l’arrivo dei francesi, nel 1797, le porte del ghetto furono abbattute. Caduto Napoleone, però, ritornarono i ghetti e si rifecero i portoni, anche se ad Urbino l’Arcivescovo rimandò tale triste evento per dieci anni. Nel 1825 tutto sembrava essere tornato come prima, c’era di nuovo il ghetto, anche se si finì con il dimenticarsi di chiuderne i cancelli.

Gli ebrei ad Urbino negli anni del nazismo

Dal libro “L’enigma di Urbino” di Vittorio Emiliani

Chiesa di San Bernardino degli Zoccolanti

Gli ebrei urbinati si salvarono quasi tutti dalla persecuzione nazista, per lo più nei conventi dell’Appennino durante il drammatico 1943-44, grazie all’omertà dei concittadini, alcuni dei quali sapevano dove erano rifugiati e se lo tennero per sé. Ausonio Colorni, bolognese, lettore di tedesco all’Università di Urbino e violoncellista, fu nascosto dai frati agli Zoccolanti dove aveva attivato, tra l’altro, una radio clandestina.

Alcuni degli urbinati ebrei, episodio che si seppe a liberazione avvenuta, furono presi e incarcerati in attesa di peggior sorte. Ma il medico delle carceri di San Girolamo, Severino Baiardi Cerboni, d’accordo con il cappellano della prigione, Don Gino Ceccarini, li munì di certificato di malattia riuscendo a trasferirli al contiguo Ospedale di Santa Chiara, da dove poterono eclissarsi fuggendo, senza che vi fosse una sola spiata, verso qualche rifugio appenninico.

3 thoughts on “Via Stretta e il ghetto di Urbino: storie di ebrei, emarginazione e aiuto.”

  1. Grazie a te Valentina per questo articolo. Non potevi trovare modo migliore per onorare il giorno della memoria. Di grande attualità visto che oggi viviamo in tempi di complottismi ricordare sempre che anche i nazisti sostenevano che esistesse un complotto giudaico per impossessarsi dell’economia mondiale. Con le conseguenze che conosciamo.

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