Situato ai piedi del Monte Nerone, nella Provincia di Pesaro e Urbino, ai confini tra Marche, Umbria e Toscana, Apecchio ha visto passare lungo le sue strade antichi popoli: Piceni, Umbri e Celti, Etruschi e Romani. Le prime tracce scritte riguardanti il borgo, però, risalgono al Medioevo e precisamente al 1077, grazie alla testimonianza di un documento che certifica la dominazione su di esso da parte del Vescovo-Conte di Città di Castello.
Nella metà del XV secolo i Conti Ubaldini si trasferirono ad Apecchio, nel sontuoso palazzo fatto costruire dal conte Ottaviano II su progetto dell’Architetto Francesco di Giorgio Martini, e di fatto fecero entrare il paese nel Ducato di Urbino, pur mantenendone l’autorità. La nobile famiglia Ubaldini governò su Apecchio e le terre circostanti per circa tre secoli lasciando in eredità ad Apecchio un notevole numero di monumenti, chiese, opere d’arte e palazzi gentilizi che impreziosiscono ancora oggi il centro del paese.
Carissima Valentina, mi perdoni ma mi permetto di correggere le informazioni che ha posto riguardo al vicolo e al forno presenti in Apecchio. Il vicolo non doveva separare le abitazioni degli ebrei da quelle dei cristiani (il feudo era all’epoca soggetto agli Ubaldini particolarmente favorevoli alla presenza ebraica), ma era imposto ovunque da papa Giulio III per isolare l’edificio delle sinagoghe che dovevano avere un “giro d’aria” in modo che, essendo isolate, non sarebbero così sfuggite alla tassazione di 10 ducati annui imposta per le sinagoghe anche al di fuori dei possedimenti dello Stato pontificio. Come vede è esattamente il contrario da quanto da lei scritto, ma non per sua colpa in quanto avevo già fatto notare l’errore commesso da chi aveva, a suo tempo, scritto la legenda interpretando erroneamente il testo da me pubblicato “Marche, Itinerari ebraici”, Avevano promesso di correggerlo, ma evidentemente non è stato fatto. Per quanto riguarda il forno invece, era usato ( sino a quando c’era una presenza ebraica, 1633) esclusivamente durante la Pasqua per la cottura delle azzime, proprio perché non vi fosse cotto nessun cibo contenente lievito. Il forno ha il cielo più basso di un normale forno a legna proprio perché il pane azzimo non lievitasse e potesse quindi cuocersi rapidamente. Mi perdoni ma è sempre meglio non fornire informazioni errate e fuorvianti. La sua iniziativa è senza dubbio interessante e le consiglierei di consultare il mio volume sulle località delle Marche che conservano testimonianze della presenza ebraica, ovviamente citando la fonte. Cordiali saluti
Gentilissima Dott.ssa Moscati Benigni, la ringrazio per avere fatto queste precisazioni doverose. Confermo che la cartellonistica presente sui luoghi riporta informazioni direi a questo punto errate. Con piacere ho avuto modo di leggere il suo libro “Sinagoghe di Urbino e Storia del ghetto” ed ho citato il testo come fonte in un mio articolo pubblicato a Gennaio di quest’anno in occasione della Giornata della Memoria. (Qui il link: https://www.unamarchigianainviaggio.it/2022/01/27/via-stretta-e-il-ghetto-di-urbino-storie-di-ebrei-emarginazione-e-aiuto/)
Di sicuro consulterò il suo volume sulle località delle Marche che conservano testimonianze della presenza ebraica perché sono interessata ad approfondire.
Grazie.